Nei giorni scorsi la Liturgia ci ha proposto una delle parabole più belle e incisive di tutte quelle che Gesù ci ha lasciato nella sua vita terrena: la parabola del “Figliol Prodigo”, tratta dal Vangelo secondo Luca (15,1-3,11-32).
Figlio di una famiglia agiata, un bel giorno decide di andare via e si prende una parte delle ricchezze di suo padre prima che lui muoia e se ne va a vivere la sua vita e le sue avventure. Finalmente felice di fare quello che vuole, la bella vita insomma, come diremmo noi nella nostra epoca. Sperpera tutto e si ritrova a soffrire la fame e la solitudine; così cerca un lavoro e ne trova uno molto umiliante per il suo stato sociale. Arriva al gradino più basso della società, ha fame e freddo e ha ben poco da mangiare.
Questa sofferenza lo porta a pensare che nella casa di suo padre anche i servitori stanno al caldo, all’asciutto e non soffrono fame e umiliazioni. Decide così di ritornare…a casa!!
E quando tornerà sarà grande festa.
Quante volte l’abbiamo sentita questa storia, ma chi è questo figliol prodigo?
Il figliol prodigo è colui che si è allontanato da Dio Padre e dalla sua casa, che è la Chiesa, per andare a vivere lontano, da solo.
E’ colui che pensa di poter vivere senza fede, senza preghiera, senza l’aiuto illuminato di Dio. Il figliol prodigo siamo tutti noi quando, per paura del castigo divino, abbiamo paura di ritornare alla nostra casa.
E’ colui che ogni giorno corre da mattina a sera per soddisfare i bisogni quotidiani, che non ha mai tempo per una preghiera, affannato tra lavoro e responsabilità familiari.
E’ colui che, ripiegato su sé stesso, pensa che al di sopra non esista nessuno, che nessuno possa anteporsi a lui, alla sua superbia e al suo orgoglio.
In questo periodo di materialismo abbiamo messo noi stessi al centro dell’universo, con una ricerca esasperata di una felicità terrena fatta di possesso di beni materiali, rinnegando l’esistenza di Dio e di tutto ciò che è spirituale.
Allora siamo solo materia? Ma se siamo solo materia dove poniamo il pensiero? E l’amore, l’amicizia, la generosità, il dolore, l’egoismo, l’antipatia? Tutti questi sentimenti non sono visibili, bensì astratti, eppure fanno parte dell’uomo, sono insiti nella sua natura. Esistono perché li sentiamo, li viviamo costantemente, in quanto sono in noi.
Dunque, perché non crediamo nell’anima? Perché non riusciamo a sentirla? Eppure anch’essa ha bisogno di cibo, di riposo e di gioia. Perché non cerchiamo di nutrirla con la preghiera, di farla riposare cullata dalle dolci parole di Gesù e di darle la gioia della vita eterna promessa?
La felicità che cerchiamo su questa terra è una felicità effimera, la vera felicità è nella casa del Padre ed è a Lui che dobbiamo ritornare. Anche se abbiamo sbagliato, peccando, Lui ci perdonerà, sempre, perché ci ama talmente tanto che al nostro ritorno sarà grande festa.
Teresa F.